Rifugio nel Sangha

Prendo rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha (la comunità), ogni giorno, tutti i momenti della vita. Il rifugio che mi sforzo di praticare tende ad armonizzarsi sui tre gli oggetti in modo equanime: attribuire un peso maggiore all’uno o all’altro implicherebbe uno squilibrio nella trasformazione della mente a cui aspiro, dal punto di vista psico-emotivo, ma in generale nel modo di esperire la realtà interiore e di relazione con gli altri.

Praticare il rifugio nel Sangha è riconoscere e toccare la interdipendenza grossolana e sottile in tutte le manifestazioni, vivere nell’esperienza della realtà ultima, la vacuità nella forma. Ma la vacuità non è altro che forma. Prendere rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha significa riconoscere l’apertura, la lucidità e la disponibilità, che è già presente in tutti gli esseri.

Se la pratica è tesa fondamentalmente all’abbandono di presa/fissazione alle nostre tendenze egotistiche, nelle dinamiche di Sangha, porre l’accento sule distinzioni anziché porre l’attenzione sull’accoglienza (anche delle debolezze) e la disponibilità – che è il significato profondo veicolato dal Sangha – conduce inevitabilmente verso una comprensione molto parziale e un’esperienza distonica. Il Dharma, nel suo significato di “insegnamento”, in particolare, è simultaneamente e contestualmente Rimé (in tibetano, apertura, non settarismo), Kagyupa (in tibetano, tradizione orale), Ghelupa (in tibetano, modello di virtù), e così via. Rimarcare di essere Rimè, in quanto seguaci di un lignaggio, lasciando intendere che altri lo siano di meno, è un sottile e pernicioso segnare distinzioni che di per sé non possono essere Rimé. È un ossimoro in termini. Lo stesso ragionamento penso possa essere esteso alle altre caratteristiche del Dharma.

Queste umili considerazioni di ordine generale si calano sulle umane vicende dei tre tempi fatte anche di divisioni, accuse, esclusioni, chiusure, che evito di commentare per non scivolare nella futile speculazione concettuale. Che cosa ci aiuta nell’autentica trasformazione a cui aspiriamo? Semplicemente riconoscerne la vacuità e ritrovare la spaziosità della pratica del Dharma in cui sciogliere i nodi distonici nell’essere comunità, alla luce del Dharma.