Siamo Analogici o Digitali?

L’interrogativo che (mi) pongo non è relativo alla capacità di utilizzare gli strumenti moderni, come computer, smartphone, ecc., non è relativo al significato di analogico e digitale legato alle nuove tecnologie, ma è bensì relativo all’essere analogici (ovvero continui) o digitali (ovvero discreti).

Un oggetto è discreto se è costituito da elementi isolati, cioè non contigui tra loro, mentre è considerato continuo se contiene infiniti elementi e se tra questi elementi non vi sono spazi vuoti

Una grandezza analogica varia con continuità e può assumere un numero infinito di valori, come ad esempio i punti di una curva. Digitale è una grandezza che varia in modo discreto: una variabile digitale può assumere solo un numero finito di valori, come ad esempio il numero di gradini di una scala.

Siamo indubbiamente considerati con misure di grandezza discrete/digitali: dalla nascita veniamo associati ad un valore percentile di crescita; a scuola ci vengono assegnati dei voti per ogni materia e persino per la condotta (vivace o tranquilla, e solitamente quella tranquilla è associata ad un voto alto, quella vivace ad un voto più basso!); nei nostri curricula vitae contiamo i titoli di studio; nei concorsi per un lavoro siamo posizionati in graduatorie; al lavoro veniamo classificati di rendimento basso/medio/alto/eccezionale. Veniamo continuamente “incasellati”, classificati, messi in una sequenza ordinata di merito, d’intelligenza, di capacità, ecc.. Oggi per contenere la pandemia, il nostro livello di libertà è associato ad un colore (giallo, arancione o rosso).

Queste sono forme di “ingabbiamento” e di distanziamento superficiali. Vi sono poi quelle più profonde: le religioni, i partiti, …

Camminiamo, corriamo, rallentiamo, ci fermiamo lungo il sentiero della nostra vita con appiccicati ai nostri corpi, numeri, colori, etichette, che rendono invisibile ciò che siamo veramente.

Sulla base di questa sequenza ordinata, la meritocrazia, ovvero il potere del merito, impone che chi occupa i primi posti nella scala dell’intelligenza, del merito e delle capacità occupi tutti gli spazi dignitosi e agevoli della vita sociale. Si segnano continue divisioni fra chi ha successo e chi no, fra chi ha un lavoro e chi no, fra chi ha una casa e chi no, …. in una logica binaria di discriminazione.

Mi interrogo però profondamente su quale possa essere il demerito di chi non è nato in una condizione umana che abbia favorito il suo “sviluppo” nelle modalità “desiderate” e valutate dalla società e dai manovratori del business. Pensiamo a chi è nato in condizioni economiche sfavorevoli, a chi ha dovuto lavorare sin da bambino, a chi ha vissuto in una famiglia violenta. Viene a volte portato l’esempio di chi “uno su mille ce la fa” … Ma c’è chi non ce la fa? Ci possono essere ancora tante altre condizioni per non farcela: limiti intellettivi, psicologici, fisici. Se non riusciamo a trovare il demerito, non siamo in grado di trovare nemmeno il merito in questo processo di digitalizzazione degli uomini e delle donne.

Per ogni esaltazione di merito per menti brillanti che conseguono più lauree in breve tempo, che scalano il potere nella società, che ottengono fama, ricchezza o per corpi possenti che salgono podi di vittoria e che aggiungono medaglie e coppe alla loro vanità, allo stesso tempo si segna un’ingiusta separazione in base ai valori digitali assegnati e spesso un’emarginazione di chi è valutato da numeri bassi.

Abbiamo quasi completamente perso la nostra dimensione “analogica”, ovvero l’essere contigui gli uni agli altri, senza alcuno spazio che ci separa.

In realtà, siamo tutti punti di una stessa retta, senza alcuno spazio che ci separa. Siamo membri dell’umanità, ma più in generale siamo parte della natura. La ricchezza profonda è da ricercare nella vicinanza gli uni agli altri. Siamo certamente diversi gli uni dagli altri, ma ciò non deve segnare una separazione. Dovremmo vivere la diversità come una ricchezza, apprezzando l’esperienza di tutti che proviene da una lunga concatenazione di cause e condizioni che non ha un inizio e non avrà una fine.

Le nostre vite sono tutte intrecciate le une alle altre e si sostengono a vicenda. Non ci sarebbero medici brillanti che hanno successo senza malati con le sue difficoltà di vita; non ci sarebbero artisti eccelsi se non ci fossero appassionati.

Ci preoccupiamo della digitalizzazione degli strumenti di cui ci avvaliamo nella vita quotidiana, ma non ci preoccupiamo della digitalizzazione che investe noi esseri umani. La consapevolezza è l’unico antidoto a questo processo; ma quanti hanno il coraggio di aprire gli occhi e alzare lo sguardo?