Religioni, Violenza, Memoria

27/01/2021 – Incontro nella Giornata della Memoria sul tema “Religioni, Violenza, Memoria. Il contributo delle religioni per non dimenticare nello spirito di “Fratelli Tutti”.

Introduzione

L’interrogativo sempre attuale è: come sia stato possibile assistere ad atrocità come la Shoah e altri genocidi. Ricordare che gli ultimi genocidi sono accaduti verso la fine del 20o secolo, non secoli fa, genera tante preoccupazioni per noi e per i nostri figli.

Come praticante, con le mie incertezze, le mie paure, le mie ansie prendo rifugio nel Buddha e nei suoi insegnamenti di realtà, che sono lo spazio della non paura, della pace, dove si manifestano i bodhisattva, ovvero gli esseri valorosi che consacrano la loro vita per il bene di tutti.

In quest’occasione vorrei proporre alcune parti del Dhammapada, un testo del canone pali, riconosciuto da tutte le tradizioni, che riporta in versi le parole di Gautama Buddha, in particolare quelli relativi alla violenza.

5. In questo mondo l’odio
non può porre fine all’odio.
Solo l’amore è capace
di estinguere l’odio.
Questa è la legge eterna.

(Dhammapada)

L’aggressività, i conflitti iniziano e perdurano quando induriamo i nostri cuori, quando alimentiamo la nostra agitazione mentale con l’odio, la rabbia e i pregiudizi.

Tutti desideriamo la pace e la serenità, ma spesso ci illudiamo di poterle ottenere attraverso il conflitto, la guerra. Questo accade in tutte le relazioni: a casa, a lavoro, nelle comunità, per strada, ….

La violenza e la pace sono questioni che riguardano le tante sfere dell’esistenza umana sia nella sua dimensione individuale che collettiva. Le religioni, la sociologia, la psicologia, le neuroscienze, la politica affrontano questi temi da particolari angolazioni e concorrono alla realizzazione di una visione globale attraverso il dialogo.

La violenza e la pace influenzano direttamente le vite di tutti, sia dei praticanti delle diverse tradizioni spirituali, sia di coloro che invece hanno deciso di non seguire alcuna tradizione; influenzano le vite non solo degli esseri umani, ma di tutti gli esseri senzienti.

Con il progresso tecno-scientifico e con la globalizzazione, la violenza assume anche forme così potenti da mettere in pericolo la sopravvivenza dell’umanità e di tutta la terra. Per questo motivo, tutti dovremmo riflettere seriamente su tali questioni, non solo dal punto di vista religioso, ma anche da quello secolare; dovremmo impegnarci con energia alla promozione della non-violenza.

Oggi la violenza ha molte forme: la discriminazione a diversi livelli, la disparità economica e sociale, il dominio politico, lo sfruttamento, l’inquinamento, la distruzione dell’ambiente naturale, la competizione, la falsità nelle relazioni.

103. Meglio vincere te stesso
che vincere mille battaglie
contro mille uomini.

(Dhammapada)

Il Dharma, ovvero gli insegnamenti del Buddha, ha come fulcro la conoscenza profonda del nostro mondo interiore, del nostro sistema cognitivo; propone un sentiero spirituale per la realizzazione della natura fondamentale, che è alla base delle nostre esperienze esistenziali.

Nei suoi primi insegnamenti, il Buddha affronta le quattro nobili realtà: 1) della disarmonia, del disagio esistenziale; 2) della loro origine; 3) della possibilità di cessazione di questi stati di sofferenza; 4) del sentiero che conduce alla realizzazione della natura ultima e della pace profonda.

Origine della disarmonia

251. Nessun fuoco brucia come la passione,
nessun cappio strangola come l’odio,
nessuna rete è più tenace dell’illusione,
nessun torrente più impetuoso del desiderio.

(Dhammapada)

Le origini della disarmonia sono da ricercarsi nelle oscurazioni della mente, che possono essere presentate secondo un modello con quattro livelli.

Il primo livello è l’ignoranza, ovvero l’incapacità della mente di comprendere la realtà così com’è, di riconoscere la propria natura. Percepiamo abitualmente la realtà in modo erroneo, sulla base di come ce la raccontiamo nella nostra testa, secondo le nostre strutture concettuali, i nostri convincimenti, la nostra cultura, ecc..
Come risultato, emerge nella mente l’imputazione di un “io” e di un “altro” a cui ci aggrappiamo. Questa presa-fissazione dualistica, che caratterizza il nostro funzionamento cognitivo abituale da un tempo senza inizio, è il secondo livello di oscurazione: vi è una percezione di un sé realmente esistente, come un essere autonomo, autosufficiente, permanente, separato dagli altri e dall’ambiente che lo circonda. L’egocentrismo, l’etnocentrismo, il centrismo di genere sono forme di presa-fissazione dualistica.

Sulla base della presa-fissazione dualistica, da questo funzionamento relazionale di separazione soggetto-oggetto sorgono i tre veleni mentali radice: attrazione o attaccamento, repulsione o aggressività, e indifferenza. Da queste tre afflizioni derivano le diverse tipologie di afflizioni mentali o emozioni conflittuali: nei testi si contano 84.000 diversi tipi di emozioni distruttive, che costituiscono il terzo livello di oscurazione.

Sotto l’influenza dei veleni della mente, compiamo azioni che sono oscurate nella loro natura: si ha dunque il quarto livello, chiamato l’oscurazione delle azioni o del karma. Le azioni di corpo, parola e mente determinano le nostre formazioni mentali, le nostre tendenze abituali.

Questi quattro livelli o tipi di oscurazioni sono le cause di ogni forma di disarmonia, di disagio o di sofferenza.

È violenta qualsiasi azione spinta dall’avidità, dall’odio o dalla rabbia.

Il fondamentalismo è causato da menti che si irrigidiscono nelle loro visioni, che servono poi a giustificare odio per altri esseri umani, altre famiglie, altre religioni o altre etnie.

Con azioni e reazioni aggressive inneschiamo una reazione a catena, provocando un’escalation di violenza.

La maggior parte dei problemi nel mondo, i conflitti tra individui e fra religioni, paesi, etnie e così via, derivano dall’idea erronea di permanenza. Poiché crediamo che le situazioni siano durature, lottiamo con la forza per cambiarle, per convincere gli altri sulle nostre posizioni. Comprendendo profondamente l’impermanenza non agiremo in questo modo.

Il Karma

Ogni azione ha delle conseguenze inesorabili che maturano quando ci sono le condizioni: è la legge di causa ed effetto. Se si compiono azioni virtuose, si avranno stati di felicità e di soddisfazione. Se si compiono invece azioni non virtuose, il risultato sarà miseria, dolore, insoddisfazione, frustrazione.

Le azioni aggressive, violente, ai danni degli altri ci proiettano verso stati infernali della mente. Questa affermazione non deriva da giudizi moralistici, ma dalla realtà, verificabile, sperimentabile.

Come esseri umani abbiamo le capacità per poter discriminare le azioni virtuose e le azioni non virtuose e praticare la non violenza come stile di vita, come pratica spirituale.

La non violenza non è solo la negazione della violenza, non è solo passività. Anche la persona più terribile ha dei momenti in cui non è violento, come nel sonno o durante stati di incoscienza o nel tempo libero; ma questa semplice assenza di violenza non lo rende una persona non violenta, non significa che stia praticando la non violenza.

L’azione non violenta è eseguita con l’astensione intenzionale dalla violenza, avendo consapevolezza delle conseguenze per sé e per gli altri. La motivazione è l’aspetto più importante del karma.

Cessazione della disarmonia

Le oscurazioni della mente possono essere rimosse e in tal modo emergeranno le qualità intrinseche della nostra natura ultima: l’apertura senza limiti, la lucidità, l’intelligenza primaria non concettuale e la compassione universale.

134. Immobile e silenzioso
come un gong spezzato
entra nel
nirvana,
dove ogni agitazione scompare.

(Dhammapada)

Rimosse tutte le impurità dalla mente, si svela l’esperienza di pace e di armonia, nel silenzio del mentale discorsivo/concettuale, avendo acquietato ogni agitazione mentale.

Tutti abbiamo la natura di pacifisti perché tutti abbiamo il potenziale di Buddha.

Si potrebbe dubitare che gli esseri senzienti abbiano la natura di Buddha, con il suo potenziale di compassione, riflettendo sui massacri, sui genocidi e sui casi di pulizia etnica che avvengono nel mondo. Ma attraverso la meditazione si può riscoprire la consapevolezza pura e la bontà di fondo onnipervasiva.

Sentiero

144. Come un cavallo ben addestrato
toccato dalla frusta,
sii ardente e scattante.
Liberati di questa sofferenza
con la meditazione, la consapevolezza,
la saggezza, la virtù, la fiducia
e l’impegno nella ricerca della verità.

(Dhammapada)

Sulla base della sua esperienza, il Buddha ha indicato i metodi per rimuovere dalla mente le contaminazioni e per ritrovare la gioia profonda, l’armonia, che egli stesso ha applicato per raggiungere l’illuminazione. L’etica, la meditazione e la visione profonda sono i tre aspetti del sentiero che conduce al risveglio della mente.

L’etica è la pratica della non violenza, riassumibile nella regola d’oro di non fare agli altri il male di cui non vuoi essere vittima.

La meditazione è il familiarizzare con gli antidoti alle afflizioni mentali. Acquietata la mente dalle sue agitazioni, emerge una comprensione profonda della realtà che conduce al superamento della visione dualista.

279. “Nessun essere è dotato di un sé”.
Comprendendo ciò,
vai al di là della sofferenza.
Questo è il cammino della purezza.

(Dhammapada)

La Non-Violenza

Quando subiamo un’aggressione, normalmente ci irrigidiamo nel cuore e nella mente. E quando non lo facciamo, abbiamo il timore di rimanere indifesi.

Bisogna avere il coraggio di cambiare la nostra tendenza abituale e aprire i nostri cuori e la nostra mente.

Se ci mettiamo nei panni degli altri, non possiamo arrabbiarci con loro. Riusciamo a vedere in noi la loro stessa aggressività e riusciamo a capire le ragioni per cui si sono comportati male con noi.

Coloro che subiscono violenza e aggressività hanno la possibilità di purificare la loro mente attraverso l’esperienza che stanno vivendo, lasciando andare l’odio e il rancore e trasformando tali emozioni in amore e compassione. In tal modo pongono fine a stati di sofferenza per se stessi e per tutti gli esseri: amici, nemici e neutri.

Coloro che invece fanno del male hanno cuori rigidi e visioni errate ed hanno poche possibilità di sviluppo spirituale; provocano maggiore sofferenza a causa della solo rabbia, del loro odio e delle loro concezioni errate; rafforzano la rigidità del cuore e la della nostra mente.

Nella realtà dell’impermanenza, amici possono diventare nemici e viceversa, ma le impronte sulla nostra mente dovute alle nostre emozioni negative rimangono a lungo e inesorabilmente porteranno conseguenze di sofferenza.

E’ molto importante vivere secondo voti di non violenza, senza però giudicarci positivamente o negativamente.

Immaginiamo cosa accadrebbe se non rispettassimo le minime regole di convivenza, come quelle del codice della strada, del codice civile o penale, se non rispettassimo la libertà o addirittura la vita degli altri; se non insegnassimo ai nostri figli i principi della non violenza.

Motivazione

Ci possono essere diverse motivazioni per praticare la non violenza in accordo allo sviluppo spirituale della persona.

Ci sono persone che si curano soltanto di se stessi, che desiderano una esistenza felice in questa vita e nelle esistenze future. Queste evitano azioni aggressive e violente, per assicurarsi esperienze buone in questa vita e nelle future rinascite. Quindi, per il loro bene si astengono dalla violenza. Questo tipo di motivazione corrisponde a una forma di egoismo.

Con lo sviluppo sul sentiero spirituale, ci rendiamo conto che, sin tanto che siamo condizionati dalle oscurazioni mentali del karma e delle afflizioni mentali, saremmo portati a vagare in circolo, passando da stati di sofferenza più o meno acuti a stati di felicità effimera. A un certo punto, nasce la determinazione a liberare la nostra mente da queste contaminazioni applicando gli antidoti proposti dal Buddha, percorrendo gli stadi del sentiero dell’etica, della meditazione e della visione profonda o saggezza. In tal caso, si pratica la non violenza non solo per ottenere stati di felicità, ma per ottenere la liberazione dalle oscurazioni per ottenere l’illuminazione, la pace per se stessi.

Il terzo livello di motivazione è di ottenere l’illuminazione non solo per sé, ma per tutti gli esseri senzienti. In questo stadio del sentiero, centrale è lo sviluppo di amore e compassione, è l’assunzione di responsabilità di praticare per la cessazione della sofferenza per tutti gli esseri. Si pratica la non violenza con la motivazione più elevata: la pratica non è solo per se stessi ma per gli altri; si sviluppa una compassione congiunta alla saggezza che tende a superare il dualismo soggetto-oggetto, che trascende ogni forma di separazione; ci si apre a una compassione spontanea, naturale, non dualista.

Gli insegnamenti del Buddha possono essere sintetizzati in non-violenza, che può essere praticata con diversi livelli di motivazione, proponendo un approccio secolare, non necessariamente legato a una tradizione religiosa.

La violenza porta sempre sofferenza. Riconoscendo il desiderio di tutti gli esseri di non soffrire e a essere felici, si sviluppa la sensibilità verso il bene del prossimo e la responsabilità universale.

Se non si pratica la non violenza, si compromette il futuro dell’umanità e dell’ambiente naturale.

Pazienza

La pazienza (in sanscrito, kṣānti) è una delle sei perfezioni (in sanscrito, pāramitā), che i praticanti del veicolo Mahāyāna aspirano a sviluppare.

Rispondere alla violenza con altra violenza, non porta sollievo e non fa altro che accrescere la violenza e causare il dolore che ne consegue. La pazienza è l’antidoto all’aggressività. Spesso non possiamo risolvere problemi modificando circostanze esterne a noi, ma possiamo risolvere l’odio nelle nostre menti.

Quando sentiamo di dover reagire in modo aggressivo, dobbiamo semplicemente fermarci e non agire – come facciamo abitualmente – spinti dalle nostre pulsioni, dalle nostre emozioni conflittuali. Non dobbiamo agire guidati dal “pilota automatico”, ovvero dalle nostre tendenze abituali.

Dobbiamo smettere di parlare a noi stessi, raccontandoci cosa ci è successo e come dovremmo reagire, ma dobbiamo connetterci con la nostra sensibilità, con il nostro punto debole che sentiamo minacciato, cercando di essere onesti con noi stessi in ciò che proviamo intimamente.

La pazienza non è una tolleranza passiva del male.

Non dobbiamo reprimere le nostre emozioni o semplicemente sopportare le circostanze sfavorevoli. La pazienza è anche un modo di relazionarci con amorevole gentilezza con noi stessi.

Non è virtuoso tollerare passivamente la sofferenza e la disarmonia se non ci sforziamo di eliminare le visioni erronee, le strutture concettuali che hanno dato origine al dolore. Cerchiamo di comprendere invece la realtà dell’interdipendenza, di realizzare chiaramente che tutto dipende da cause e condizioni e di sviluppare un senso di responsabilità verso noi stessi e verso gli altri.

Siamo onesti con il fatto che, in alcune circostanze, desideriamo vendetta; ma se non alimentiamo i nostri pensieri e non li scacciamo, se semplicemente lasciamo che cessino, se entriamo in contatto con il nostro senso di disagio, di vulnerabilità, scopriamo che non c’è nulla di solido. Stiamo semplicemente in contatto con le nostre emozioni, rilassiamoci semplicemente nell’energia che ci pervade. In questo modo troveremo la pace interiore e per il beneficio nostro e degli altri. Per praticare in questo modo occorre avere coraggio e compassione.

Quando affrontiamo i conflitti esteriori e interiori, spesso siamo convinti erroneamente che si possa trovare una soluzione con altro odio e altra rabbia. In questo modo possiamo trovare soluzioni in cui c’è un vincitore e un vinto, ma che da un’intima analisi risultano temporanee.

La pratica consiste semplicemente nell’osservare come tali energie sorgono, durano per un po’ e poi svaniscono.

La meditazione ci consente di osservare il funzionamento della mente e di riscoprire la nostra natura, la pace duratura, che c’è oltre le nostre attitudini mentali. L’aggressività non ci fa entrare in contatto con la nostra natura profonda.

41. Io mi arrabbio con chi mi colpisce con il bastone, ma non con il bastone che è l’oggetto che mi colpisce. In questo modo allora devo agire, colui che mi colpisce è spinto dall’odio, ed io contro l’odio devo adirarmi.

Shantideva (Saurāṣṭra, 685? – India, 763?), monaco indiano dell’VIII secolo, approfondì il tema della pazienza nel sesto capitolo del La Via del Bodhisattva (Bodhisattvacharyavatara), esaminando il modo in cui relazionarsi in modo sano e armonioso con situazioni difficili o dannose. Immaginando di essere aggrediti o colpiti da qualcuno, scrive:

Se mi arrabbio con chi impugna il bastone

Anche se in realtà sono ferito dal suo bastone,

Quindi poiché anche lui è secondario, essendo a sua volta istigato dall’odio,

Dovrei davvero essere arrabbiato con il suo odio!

Se siamo colpiti da qualcuno con un bastone, facendoci del male, la nostra tendenza abituale è quella di arrabbiarci con la persona che ha mosso il bastone. Ma se analizziamo la situazione, ci rendiamo conto che non è la persona che ci ha fatto del male; è il bastone che effettivamente ci ha provocato dolore. Ma è ridicolo arrabbiarsi con un bastone! Se analizziamo ulteriormente la situazione, ci rendiamo conto che proprio come il bastone è sotto il controllo della persona che lo brandisce, anche la persona stessa è sotto il controllo delle sue emozioni conflittuali, che sono state originate da cause e condizioni. Facendo tali considerazioni, il nostro rancore verso la persona che ci ha colpiti viene a scemare.

Possiamo applicare queste considerazioni non soltanto a conflitti interpersonali, ma anche a condizioni più ampie e sistemiche.

Nessuno desidera veramente e intenzionalmente fare del male gli altri; spesso si agisce solo per alleviare il proprio dolore; ma si è confusi su come farlo. Quindi, se qualcuno ci fa del male, non dobbiamo farci trascinare dalla rabbia; bisogna invece riflettere sullo stato di sofferenza dell’altro. Quella persona non si rende conto che danneggiando gli altri sta seminando le cause di disgrazia per sé. Per tale motivo, dobbiamo nutrire compassione e augurargli di essere libero dalla sofferenza.

Conclusione

Concludo con le parole del Buddha:

377. Lascia cadere le passioni e l’odio
come il gelsomino lascia cadere
i suoi fiori appassiti.

379. Risvegliati da te,
sii l’osservatore di te stesso.
Consapevole e autonomo,
vivi felice.

380. Tu sei il tuo maestro.
Tu sei il tuo rifugio.
Guida te stesso
come un mercante controlla un cavallo focoso.

381. Vivi nella gioia,
segui fiducioso il cammino del Buddha
e raggiungi il luogo di pace
dove l’esistenza è a riposo.

(Dhammapada)

Registrazione video dell’incontro (solo una sintesi del testo sopra riportato è stato proposto)